CHOPIN: ANALISI DELLA POLACCA – FANTASIA OP. 61

di  Manuel Cini

Ora vorrei terminare una Sonata per violoncello, una Barcarola e qualche cosa ancora che non so come intitolare”.

Questa lettera, scritta nel dicembre del 1945, mostra tutta l’indecisione di Fryderyk Chopin di fronte alla particolarità formale della sua ultima composizione, alla quale poi affiderà il doppio appellativo di Polacca-Fantasia, oggi ritenuta una delle opere più moderne e all’avanguardia del suo genio.

In questo articolo proponiamo l’analisi della Polonaise-Fantaisie op. 61

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Polonaise-Fantaisie op. 61 – Una breve analisi espressivo-formale

L’ultima polacca, la Polonaise-Fantaisie op. 61 venne scritta da Chopin tre anni prima di morire, ossia nel 1846. A differenza delle precedenti, la polacca – fantasia si svincola completamente dalle architetture del passato quali Chopin stesso aveva contribuito a definirne la struttura formale e può essere letta quasi come una forma-sonata, ove vi sono (oltre all’ introduzione) esposizione (in cui concorrono tre temi diversi), sviluppo (o sezione di mezzo che nel caso della Polacca tradizionale è rappresentata dal Trio) e ripresa.

Il tentativo di codificare strutturalmente quest’opera ci allontana tuttavia da quella concezione che vede nel componimento una forma libera, che per il suo tempo era certamente avveniristica e più simile al ‘pezzo unico’ o poema sinfonico di lisztiana memoria.

A dispetto di queste importanti speculazioni formali e dell’indubbia atipicità del pezzo, si può dire con relativa certezza che esso conserva tuttavia la profonda espressività tipica delle polacche chopiniane.

L’op. 61, definita dal Belotti meno politica delle altre, è dunque più riflessiva, più intima, testimone di uno spirito ormai, ma mai del tutto,  rassegnato. Chopin non tornerà in Polonia e l’aspetto forse più bello che possiamo tirare fuori dalle sue opere è proprio l’incessante speranza che egli non sottrasse alla sua anima compositiva.

Di seguito viene riportata l’avveniristica introduzione, dove l’atmosfera prodotta dai lenti arpeggi, che coprono tutta la tastiera sotto un unico pedale, è di un’ineguagliabile vetta artistica.

La luminosa visione finale del pezzo, assieme alla meravigliosa ripresa del primo tema sotto uno spunto decisamente eroico, esprimono l’ideale politico di tutta la sua vita, ovvero quello di una patria libera e gloriosa.

In questa composizione tutto è portato a risultati estremi, a partire dall’espressività della melodia, il ritmo, l’audace realizzazione armonica, la fantasia dell’architettura formale. Pur volendo far sopravvivere una piccola reminiscenza della polacca tradizionale, bisogna tuttavia ammettere come questa composizione racchiuda in sé un po’ tutta la globalità artistica della vena compositiva di Fryderyk Chopin.

Sembra infatti che convivano nel medesimo pezzo elementi riconducibili alla Mazurca, al Notturno, alla Ballata. Ecco perché questa opera può considerarsi l’apice delle composizioni chopiniane.

Essa non è un pezzo codificabile, giacché non può rientrare nella schematizzazione o nell’impostazione formale di un genere preciso, ma rappresenta piuttosto l’esempio della libertà artistica dell’ultimo Chopin, del suo grandissimo genio, il quale avrebbe probabilmente sondato innumerevoli nuove strade se la prematura morte non lo avesse stroncato.