A COSA SERVE IL SOLFEGGIO? COME STUDIARLO?
di Luca Valsecchi
Molti ragazzi che iniziano a studiare uno strumento musicale, si chiedono il perché sia necessario lo studio del solfeggio, certamente non comprendendone la fondamentale utilità, a causa anche – in alcuni casi – di un insegnamento obsoleto e fuorviante.
Vediamo quindi di capire a cosa serve e come occorra studiarlo per evitare blocchi psicologici difficili poi da risolvere.
Da leggere con attenzione… ne vale la pena!
Il solfeggio parlato
Il solfeggio è la lettura, anzi di più, è una vera e propria esecuzione musicale da effettuarsi “parlando le note” o meglio ancora “cantando le note” scritte sullo spartito musicale, senza la necessità di essere dei provetti cantanti attenzione, è sufficiente (ma anche indispensabile al fine stesso di “fare musica”) almeno un minimo di intonazione.
Il “parlato” è certamente più “semplice”, e se eseguito correttamente ci si trova a “riprodurre” i nomi e le durate delle note, le quali “ascoltandole” dal nostro stesso solfeggio, con precisi riferimenti ritmici grazie ai movimenti delle mani, non dovremo poi fare altro che “traslarlo” nell’esecuzione strumentale, nella quale detti riferimenti ritmici ed esecutivi si produrranno “automaticamente” nella nostra mente, così da entrare gradualmente in un sistema “automatizzato” (anche senza virgolette) il quale porterà nel tempo ad una immediata esecuzione senza “passare” dal solfeggio, o meglio, la mente di un musicista solfeggia sempre nel momento in cui legge la musica, ma con questo totale automatismo che porta a fare questo esercizio mentale senza neppure pensarci, esattamente come camminare o correre!
Il solfeggio cantato e ritmico
Un Musicista arriva (e deve arrivare) a saper intonare il solfeggio, e questo è fondamentale per maturare una completa “rappresentazione mentale” di quella che sarà l’esecuzione vera e propria con lo strumento (a ragione in più per i cantanti ovviamente!).
Il fatto di suonare a questo punto non sarà più affidato al caso, con la necessità perenne di un insegnante che corregga gli errori, ma diventerà come già detto un “traslare” sullo strumento una musica la quale risulta già totalmente e correttamente definita nella mente, senza alcuna possibilità di errore esecutivo, nemmeno relativamente all’intonazione.
Il solfeggio ritmico, come è facilmente intuibile, si occupa solo di questo aspetto, ed è molto utilizzato anche dai musicisti professionisti in presenza di figurazioni ritmiche rare e complesse, in occasione delle quali non “scatta” il suddetto automatismo, e allora ecco che ci si sofferma per un momento proprio a solfeggiare, per “decifrare” un determinato passaggio ostico!