IL JAZZ MODALE
Quando si parla di musica jazz, ci si riferisce a uno stile nato in epoca moderna che si è diramato in tante direzioni diverse: swing, be-bop, cool, free… e altre ancora!
Un sottogenere molto interessante e importante è certamente il jazz modale, nato negli anni ’50, stile raffinato originato dalla ricerca di nuove soluzioni armoniche: vediamo di cosa si tratta, quando e dove ebbe il suo sviluppo e i suoi alfieri principali.
Origine del Jazz modale / Swing e be-bop
Col termine Jazz modale si intende una corrente musicale che si originò verso il finire degli anni cinquanta del Novecento, una vera innovazione che ebbe grande risonanza nel panorama musicale mondiale ed ebbe grande seguito.
Lo Swing si affermò come genere mainstream nel corso degli anni ’30, divenendo in breve tempo un vero e proprio fenomeno di massa che contava grosse schiere di ammiratori.
Il bebop, come è noto, si presentò come fenomeno di rottura ed evolse in maniera decisa l’armonia e le scelte melodiche, spesso proponendo brani in maniera concitata e incalzante su tempi veloci: probabilmente si creò una situazione di sovraccarico a livello di materiale musicale, che generò l’esigenza di tornare a creare atmosfere più rarefatte ed eteree, con l’utilizzo di un’armonia più regolare e fruibile, ma senza rinunciare all’aspetto artistico qualitativo.
La differenza con il jazz tonale
Da un punto di vista generale, l’armonia modale jazzistica si differenzia dall’armonia tonale per un motivo specifico: in quest’ultima è chiaro che ci sia un centro gravitazionale, detto centro tonale, a cui si rapportano gerarchicamente gli accordi costruiti sui vari gradi della tonalità, i quali hanno funzioni più o meno importanti (per questo si parla anche di armonia funzionale).
In altre parole: un sole attorno a cui gravitano dei pianeti più o meno importanti, che hanno dei rapporti gerarchici funzionali.
Mettiamo subito in chiaro che il jazz modale ha poco a che vedere col sistema dei modi antichi di epoca rinascimentale, pur condividendo alcune nomenclature e aspetti: vi è proprio un utilizzo diverso del concetto di modo, il quale è possibile approfondire con l’articolo specifico raggiungibile a questo link.
Nel jazz modale, come abbiamo detto, scompare la gerarchia tra il centro tonale e i gradi della scala propri del sistema tonale: in sostituzione, possiamo apprezzare accordi in numero ridotto che durano spesso più battute e che non presentano un rapporto relazionale tra di loro, venendo a mostrarsi come entità indipendenti l’uno dall’altro, su cui il musicista andrà ad applicare delle scale modali (e anche pentatoniche).
I pochi accordi mirano inoltre a ricreare un’atmosfera più rilassata e ricercata rispetto l’epoca precedente del bebop, generando un ambiente sonoro molto ricercato e spaziale, utilizzando tempi non troppo veloci in cui l’ascoltatore può apprezzare tutte le sfumature proposte.
Kind of Blue di Miles Davis: il precursore
L’album che rappresenta questa svolta è Kind of Blue del 1959, il primo vero esempio di jazz modale in cui è contenuto l’iconico brano So What, che può essere considerato il vero capostipite della musica jazzistica modale.
Come possiamo notare, il brano utilizza solo due accordi completamente svincolati da qualsiasi rapporto gerarchico, cioè RE minore settima e MI minore settima, distanti una seconda minore uno dall’altro.
Su questi due accordi il contrabbasso sviluppa un tema di poche note, a cui segue una risposta da parte degli altri strumenti a fiato secondo la tecnica del call and response.
Esposto il tema, troviamo gli assoli che vedono l’utilizzo delle scale doriche, scale molto pertinenti rispetto gli accordi di tale natura, e l’utilizzo di scale pentatoniche.
Altro esempio magistrale assolutamente da menzionare si può apprezzare nel brano Maiden voyage, capolavoro di Herbie Hancock in cui possiamo analizzare una sequenza di accordi di settima sospesi su cui viene eseguito un tema etereo e sognante, creandosi un’atmosfera coinvolgente e toccante.