STANDARD JAZZ: COSA SONO E A COSA SERVONO
Quando si parla di jazz, è frequentissimo sentir parlare degli “standard jazz“, ma per i non frequentatori del genere, spesso non risulta chiaro a cosa ci si riferisca esattamente con questa definizione, ed ancor meno a cosa possano servire.
Approfondiamo il tutto!
Concetto di standard jazz
Questo termine indica i brani jazz che sono diventati una presenza fissa sia a livello di repertorio che come materiale di studio, rappresentando situazioni tipiche del genere sotto tutti gli aspetti (armonico, melodico, morfologico).
Uno standard è un brano che è stato inciso in tante versioni, avendo avuto ampio riscontro, ed è entrato nel repertorio comune del jazzista, diventando un classico del genere.
All’incirca negli Anni ’40, i musicisti iniziarono a raggruppare i brani più importanti in raccolte manoscritte dette fake book, le quali circolavano in molte versioni senza un criterio di accorpamento del materiale. Negli anni ’60 il jazz divenne materia accademica ed entrò nelle università. In questo contesto, alcuni studenti dell’ateneo “Berklee” di Boston crearono una raccolta detta Real Book, che pur variando, aveva una base fissa di brani.
Non esiste ancora oggi una lista ufficiale degli standard e il Real Book ha spesso varianti più o meno significative, ma di certo si può notare una base di composizioni sempre presenti.
Quali sono gli standard jazz?
Come si diceva, questi brani hanno avuto ampio riscontro e tante versioni discografiche, e coprono le principali forme in uso nel jazz:
- Forma canzone 32 battute (“Take A train”)
- Blues 12 battute, maggiore e minore (“All blues, “Equinox”)
- Blues-jazzistico (“Au privave”)
- Anatole (“I got rhythm”)
- Brani modali (“So what”)
- Brani latin/bossa nova (“Garota de Ipanema”)
Oltre a ciò possiamo trovare anche brani del repertorio pop e tradizionale, che sono stati rielaborati nel repertorio jazz da famosi autori, come ad esempio il celebre Greensleeves o la hit pop Sunny originalmente incisa da Bobby Hebb.